L’alimentazione nel mondo antico: gli Etruschi

Il tema dell’alimentazione presso le civiltà antiche è sempre stato un tema di grande interesse poiché il suo studio esplica non solo le abitudini alimentari in sé ma lo stile di vita, l’esigenza di costruire strumenti adeguati per cottura e mantenimento del cibo e tutta la produzione artistica ritrovata tanto nei manufatti quanto nelle rappresentazioni come, ad esempio, le raffigurazioni dei banchetti.

Già nel 1886 K. J. Beloch tentava di stabilire l’entità della popolazione del mondo antico in base alla produzione di grano.

Nel 1925 Jardè applicava un metodo comparativo tra le aree di raccolta preindustriale, studio di seguito integrato nel 1982 da Foxhall – Forbes.

Nello studio dell’alimentazione confluiscono tanti rami archeologici come l’osteologia, lo studio dei terreni e l’antropologia e forse è per questo che l’antico adagio tedesco cantava “L’uomo è ciò che mangia”; dai suoi approfondimenti si evince lo stile di vita, la struttura della società e anche gli scambi commerciali.

Giacchè le fonti letterarie sono scarse di notizie, lo studio viene integrato anche dalle analisi delle situazioni delle popolazioni limitrofe; Posidonio di Apamea, filosofo e storico vissuto tra il 135 e 51/50 a.C. narra che,”[…] presso gli Etruschi però due volte al giorno si apparecchiavano mense sontuose[…]”. Una descrizione questa che riflette solo in parte la situazione dei ceti elevati ma giustifica il perché venissero poi rappresentati artisticamente come pingui o addirittura molli senza dimenticare però che, già di per sé l’opulenza era sinonimo di ricchezza e quindi questo aspetto potrebbe essere stato esasperato per adeguare i canoni estetici al ceto sociale.

Tarquina, Museo Nazionale: Sarcofago c.d. “dell’Obeso”.

Per quel che riguarda la documentazione scritta, possiamo dare credito a Tito Livio (XXXVIII, 45) che ci informa che nel 204 a.C. partecipa alle provvigioni per Scipione e la seconda guerra punica in Africa: quasi tutte contribuiscono con grandi quantitativi di FRUMENTO e si deduce che la sua produzione fosse quindi ingente e la grande produzione è da far risalire almeno all’epoca arcaica.

Si può affermare che i cereali erano quindi alla base dell’alimentazione di queste terre e del loro commercio e ricchezze e che, insieme a vite e olivo, costituivano una triade di coltivazioni sin dal periodo protostorico ed arcaico tipica del clima mediterraneo.

I sontuosi banchetti però non erano composti esclusivamente da cereali e frumento infatti non è difficile trovare una documentazione tanto artistica quanto di utensili che confermano la presenza di allevamenti di bestiame. Per avere risposte più esatte in merito all’estensione dell’allevamento, occorrerebbe un maggior numero di studi osteologici e paleobotanici; ma date le transumanze anche verso le zone ipù interne, la tendenza è quella di generalizzare il fenomeno dell’allevamento a partire dall’età le bronzo senza però dimenticare che parte del bestiame aveva proprio un ruolo attivo nell’agricoltura. E’, probabilmente, corretto supporre una contemporaneità di agricoltura prevalente e allevamenti mantenutasi poi anche in epoca romana, stile di produzione che si rifletteva anche sullo stile alimentare. Da fonti scritte emergono figure quali quelle dei CVESTUR FARARIER che vengono indicati tanto in Umbria (Bevagna) quanto sulle tavole Egubine in riferimento ai magistrati scelti rispettivamente per gestire rifornimenti e i pagamenti in cereali.

Archeologia del paesaggio.

Come già accennato, per studiare l’alimentazione nelle popolazioni pre-Romane ci si deve avvalere di molteplici discipline che integrino il monitoraggio di tutti gli aspetti utili alla piena comprensione.

L’ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO, ad esempio, studia i modelli di insediamento di lunga durata regionali attraverso una serie di tecniche quali: la FOTOGRAFIA AEREA, il REMOTE SENSING SATELLITARE, la TOPOGRAFIA, la GEOMORFOLOGIA e le ANALISI BIOLOGICHE, tecniche prese in prestito da altre materie.

La correlazione imprescindibile tra geografia e archeologia è chiara sin dai primi antiquarii e la British School di Roma, con il suo direttore Thomas Ashby dal 1906 al 1925 ne diede esposizione attraverso la mostra fotografica di materiale da lui raccolto girando a piedi, in bicicletta o in treno.

Un suo successore, John Ward-Perkins, nel periodo post bellico dal 1946 al 1974, ha organizzato un efficace programma di ricognizione nelle aree immediatamente a nord di Roma; studiare i depositi alluvionali di fondovalle era già di per sé un’indagine dei sistemi di insediamento da aggiungere e affiancare alla scoperta di nuovi siti da scavare.

Scarse però sono le notizie recuperate, in termini di ossa animali, dalle piccole fattorie o dei casolari poveri sparsi nelle campagne e sicuramente maggiori dettagli si otterrebbero con sistematici e approfonditi studi di archeozoologia e archeobotanica; la ricognizione intensiva è complessa al pari di quella da scavo perché le condizioni dei terreni possono cambiare molto facilmente da un anno ad un altro in base all’erosione, alle alluvioni fino allo stato della vegetazione.

Occorre quindi che la squadra abbia una notevole esperienza: le aree di ricerca fondamentali attuali sono 6:

  1. Identificazione delle specie
  2. Entità relativa alla specie in base al numero dei reperti e degli individui
  3. Età delle specie in base alle ossa
  4. Taglia degli animali e sesso
  5. Segni di malattie
  6. Composizione anatomica degli esemplari e sistemi di macellazione

Oltre alla frequenza delle varie specie, sono di rilevanza anche il sesso e l’atà degli esemplari: un’economia basata sul latte ad esempio dovrebbe lasciare come guida esemplari di femmine adulte, una basata sulla carne invece si presuppone prediliga animali maschi ingrassati ed un eccesso di macellazione di esemplari giovani così come invece se basata sulla produzione di lana esemplari di pecora femmine o castrati.

Il recupero dei reperti di archeobotanica è ancora più delicato poiché richiede una campionatura sistematica di tutte le principali unità stratigrafiche dello scavo, ma sembra che grano, orzo, fave e piselli fossero coltivazioni frequenti e si praticava l’allevamento del bestiame misto a giudicare dalla dentizione ritrovata. Si trattava di animali che morivano principalmente nel primo o secondo anno di età ed è desumibile che venissero quindi sfruttati per latte, lana e infine carne. Anche i bovini morti in età adulti però venivano sfruttati per latte, per l’agricoltura e infine per le carni. Ma la fonte primaria di carne era costituita dai maiali.

La coltivazione di olivi e viti è desumibile dal ritrovamento di manufatti anche di piccole dimensioni quali vasi per olii profumati. Pur essendo piante indigene pare che la loro coltivazione derivi dall’apprendimento derivante dai contatti con Grecia e Spagna a giudicare da quando , in questi due Paesi, ha avuto inizio rispetto a queste terre. Intorno al 3° millennio si sviluppava infatti, sia in Spagna sia in Grecia (rispettivamente età del Rame e del Bronzo) mentre arrivava nella penisola italica e nelle terre etrusche tra i IX e il VII secolo a.C. ed è così che la policoltura coincise con le grandi trasformazioni della società.

Alcune opere di bonifca agricola nell’etruria meridionale.

Dove non è stato possibile intervenire con delle ricognizioni sistematiche come nelle aree tufacee, è stato comunque possibile risalire attraverso elementi esterni allo sfruttamento agricolo quali MACINE per il grano, TORCULARI per la vite e l’olivo nonché i contenitori specifici per i prodotti lavorati.

Allo stesso modo sono stati studiati i canali di scolo sui quali e tutt’ora ricavabile residuo di calcare da acqua il cui scopo era quello di far defluire l’acqua in eccesso per evitare ristagni e perché venisse raccolta e riutilizzata. A volte si trattava di lunghi cunicoli scavati con pavimenti piani e un solco centrale che valgono come opera di bonifica funzionali allo sfruttamento del terreno.

Lo scopo dei cunicoli era:

  1. Presenza di pozzi detti SFIATATOI rettangolari che coadiuvavano l’ascesa e la discesa dai cunicoli;
  2. Incanalare le acque che giungono filtrando attraverso il terreno;
  3. Agevolare l’assorbimento da parte del terreno stesso;
  4. I cunicoli eliminavano così i fenomeni di erosione superficiale;
  5. Evitavano che i tempi di sommersione e saturazione idrica dei terreni compromettesse le colture.
Mappa del sistema di cunicoli dell’area veiente (British School at Rome)
Schizzo illustrante il funzionamento di un cunicolo

Duo sunt liquores…

La ricostruzione dei paesaggi agrari è un’ardua sfida per tutte le trasformazioni subite nel tempo e soprattutto a seguito dell’abbandono dei territori che iniziò in età romana e anche le fonti letterarie cui si fa riferimento possono confondere: quando si parla di rifornimenti richiesti e inviati per le truppe bisogna tener presente che venivano dati i prodotti di sussistenza e non quelli provenienti da colture speculative.

A compensare le informazioni parziali e imprecise abbiamo lo studio dei vasi contenitori. Questi forniscono dati sui contenuti e anche sulla commercializzazione degli stessi marittima e terrestre.

Alcuni dei contenitori di LIQUORES (olio e vino) ritrovati anche in tombe principesche, provengono da zone oltre il mare; indizio questo degli scambi commerciali oltre la stessa penisola italica. Vino e olio a questo punto non sono più beni esotici ed esclusivi ma sono largamente diffusi a giudicare dai ritrovamenti tombali generali.

Alimentazione carnea degli etruschi.

L’Etruria non era nota per la pastorizia quindi era per lo più basata su uova, formaggi e carne.

L’allevamento aveva due scopi principali:

  1. Bovini per agricoltura
  2. Consumo di carni per uso familiare e non grandi macellazioni/produzioni.

In pratica la carne veniva consumata per occasioni speciali quali rituali o festività.

UNA CURIOSITA’: a differenza dei Greci, gli Etruschi sembravano premurarsi, nell’inumare, del pasto funebre mentre nelle tombe dei primi era più facile trovare collegamenti con sacrifici propiziatori.

Selvaggina.

Non è possibile stabilire con precisione l’entità della caccia degli animali selvatici anche perché, col tempo, le scene di caccia rappresentate che erano copiose, hanno riportato raffigurazioni di animali non presenti in Etruria, probabilmente influenzati dalla tradizione del vicino Oriente e dalla Grecia tipo struzzi e leoni. Inoltre spesso rappresentava un momento di diletto della classe aristocratica. Con l’età classica le scene di caccia si rarefanno.

I prodotti del mare.

Chiunque abbia prosperato in prossimità di laghi mari o fiumi è presumibile abbia sfruttato la pesca la quale veniva però praticata con degli utensili costruiti con materiali altamente deperibili e sono scarsi anche i riferimenti a imbarcazioni.

In particolare l’unico ritrovamento in epoca etrusca è data da quello rinvenuto in una tomba nelle necropoli di Furbara (VIII-VII sec. a.C.) che testimonia una, seppur rozza e poco funzionale, PIROGA MONOSSILE. Modellini simili quasi certamente di ambiti fluviali sono stati ritrovati nelle Necropoli di Veio.

Alla pesca poi vengono associati alcuni manufatti in pietra ritrovati isolatamente lungo il tirreno di varia forma con fori che si pensa fossero usati come spazio per le cime che sembrerebbero delle rudimentali ancore, frutto di ricerche di archeologia subacquea. Relativamente più corposo è il ritrovamento di ami, aghi e pesi per le reti nei santuari di Pyrgi e Santa Marinella.

Sono stati recuperati anche residui di pesce (molluschi e crostacei) in alcune stoviglie.

Seppur non correlati all’alimentazione ma solo alla pesca, residui di corallo nel santuario di Gravisca che erano stati citati anche da Plinio dove, seppur in ridotta modalità, continua la pesca tra Santa Severa e Montalto di Castro.

Seppur reputata poco gloriosa a giudicare dall’esisgua testimonianza rappresentata, era comunque gestita in modo organizzato e sistematico come testimonia Strabone e Eliano che ci spiegano come occasionalmente si ricorresse alla pesca di grossi animali come il TONNO e l’AULOPIAS (di dimensioni simili al tonno e considerato mostruoso).

Forni e fornelli etruschi in età Arcaica.

Seppur non ci pervenga una documentazione sulla cucina etrusca, possiamo fare riferimento ai materiali più duraturi: ad esempio nell’Età del Ferro era frequente la presenza di un focolare centrale, ma questo sopperiva anche alle esigenze di riscaldamento e illuminazione mentre il fumo che ne usciva era utile per impermeabilizzare il tetto in paglia o in canne o come dissuasore per gli insetti.

Quando si iniziarono a costruire case con pareti e letti, lo smaltimento di fumi e odori era più ostico ed è immaginabile che i focolari costruiti all’interno delle case avessero lo scopo principale di riscaldare anziché cucinare.

Per quel che concerne le carni, era frequente che queste venissero cotte all’aperto o comunque in loco rispetto a dove venivano uccisi come dimostrano i fornelli trovati all’Acquarossa. Con FORNELLI si intende quella struttura che serviva da SOSTEGNO per le pentole e che non funzionerebbero senza braciere o focolare.

I fornelli etruschi erano di 3 tipi:

  1. Con l’apertura nella parte inferiore
  2. Con l’apertura per il carico
  3. Con il sistema per sostenere le pentole.
Tipi di fornelli da Acquarossa

A Poggio Civitate era stato ritrovato un altro metodo che oggi verrebbe definito “COOKING BELL”. Oltre alla più evidente funzione di  coperchio si desume, per via delle dimensioni, che questi avesse la funzione di praticare una cottura come in forno (SUB TESTU): il cibo veniva disposto su un piatto o simile, sigillato dal coperchio e poi circondato da carboni che andavano a riscaldare e quindi cuocere ciò che era all’interno. Questa tecnica di cottura però non escludeva quella al vero e proprio forno con apertura sul davanti e sfiatatoio sulla cupola come dimostrano i ritrovamenti all’Acquarossa.

Acquarossa, Zona H Forno
Acquarossa, zona B e E forni.

Utensili della cucina etrusca.

Per quanto concerne gli utensili adoperati in cucina, ne abbiamo grande prova e memoria per le scene dei banchetti rappresentate e soprattutto per gli enormi ritrovamenti nei corredi tombali: STAMNOI, SKYPHOI KATHAROI e oggetti più peculiari quali KYATHOI che contenevano un colino  così si eliminavano semi o residui di chicchi separando la materia dal liquido mentre si attingeva al contenitore del vino.

Alle donne non era vietato partecipare ai banchetti ma rimaneva che fossero delle ricorrenze i cui principali invitati erano uomini. Trattandosi di occasioni eccezionali gli utensili utilizzati erano quelli più curati che venivano poi successivamente ritrovati nelle tombe maschili di ceti elevati.

La preparazione dei cibi non era glorificata ed era un compito assegnato per lo più alle donne di ceto poco abbiente e questo ceto aveva come priorità procurarsi il cibo piuttosto che celebrarlo con stoviglie fregiate: è immaginabile quindi che i banchetti venissero preparati e serviti da persone di classe sociale bassa se non schiavi.

Ma l’eccezione a questa consuetudine era proprio data dalla preparazione della carne infatti questa veniva lasciata agli uomini; addirittura Omero nell’Iliade e nell’Odissea narrava di come fossero gli stessi eroi ad occuparsi di questa operazione e, dati i contatti con i Greci, non è da escludere che anche nella società sabina si ripetesse la medesima tradizione.

Tra gli utensili utilizzati per la cottura della carne ricordiamo:

Gli OBELOI o OBELISKOI: spiedi lunghi circa un metro con un manico. Detti VERVA nella denominazione romana, venivano rinvenuti nelle tombe a corredo con degli alari sui quali venivano poggiati.

Il MORTARIUM che invece era un recipiente non troppo profondo in pietra o in terracotta con un becco usato per impastare il pane. In alternativa veniva usato per mescolare o tritare. A corredo del mortarium c’era una larga pietra sulla quale si poggiava il frumento o i cereali e, per mezzo di sfregamento con una pietra più piccola, si otteneva la macinatura.

Esisteva anche una piccola GRATTUGIA da tavolo usata, probabilmente, per una bevanda tipo il KYKEION degli eroi omerici composto da vino forte, orzo, miele e formaggio grattugiato.

Infine gli strumenti più singolari rispetto all’indispensabile (ossia piatti, brocche, vasi, scodelle, attingitoi) tipo i mestoli è quanto andato perduto e deteriorato poiché costruito col legno.

Servizio da mensa dalla capanna I di Satricum (Età del Ferro)
Servizio della casa arcaica di Ficana, metà del VII secolo a.C.

Indagini paleonutrizionali su campioni di popolazione etrusca.

Attraverso  la spettroscopia e la spettrometria di massa o attivazione neutronica si possono analizzare piccolissime quantità di metalli presenti nelle ossa che fanno da guida nello studio delle condizioni alimentari.

Lo stronzio (Sr), ad esempio, è uno degli elementi riconducibile principalmente ad una dieta erbivora perché largamente presente nei vegetali e perché il 99% si deposita nelle ossa mentre il restante 1% rimane nei tessuti molli. Quasi del tutto assente  nelle diete carnivore.

Nell’analisi di questo elemento ci si avvale anche con la comparazione con le ossa animali sicuramente erbivori. Quanto più il valore sarà alto, tanto maggiore la dieta sarà ricca di vegetali.

Un altro elemento analizzato è stato lo zinco (Zn), presente principalmente nella carne rossa, molluschi e pesce.

Lo zinco sta al consumo di carne come lo stronzio a quello di vegetali e lo si trova anche in frutta secca, latte e derivati.

Attraverso questi due elementi prncipali è stato possibile dedurre le economie alimentari delle popolazioni antiche:

Economie agricole: alti contenuto di Sr, se ricche alto contenuto di Zn, se povere basso contenuto di Zn

Economie miste: medio contenuto di Sr, se ricche alto contenuto di Zn, se povere basso contenuto di Zn

Economie pastorali: basso contenuto di Sr, se ricche alto contenuto di Zn, se povere basso contenuto di Zn

Una curiosità: col passare del tempo si è notato un sistematico distaccamento iversamente proporzionale tra le abitudini alimentari greche e italiche. Mentre nel tempo per i greci cresceva il consumo delle carni ai pasti; nelle popolazioni italiche, tra il periodo arcaico e la fase ellenistica, il consumo delle stesse si riduceva.

Ma il trend comune rimane che, dalla fase arcaica a quella ellenistica, l’economia sia di stampo agricolo.

Le fonti alimentari sembrano, in base alle analisi a campione effettuate, sostanzialmente uguali tra uomo e donna in maniera indiscriminata.

Per continuare lo studio dell’alimentazione dei Sabini, clicca qui.

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