L’alimentazione sabina e le sue attestazioni

Come abbiamo già accennato, i popoli antichi che condividevano territori e climi, avevano per lo più un’alimentazione molto simile. Ma per quel che riguarda i Sabini in particolare, è stato possibile studiare dei contenitori per capire cosa esattamente venisse conservato e consumato.

Il sito preso in considerazione è quello di CURES: non lontano dall’odierna Passo Corese, era formato da tre alture e veniva indicato da fonti letterarie come patria di Tito Tazio e Numa Pompilio entrambi re di Roma.

Gli scavi sono stati effettuati sull’altura che si pone alla confluenza tra il torrente Corese e il Fosso degli Arci e hanno condotto al rinvenimento di una grande capanna che conteneva oltre 70 vasi integri o ricostruibili. La capanna era stata distrutta da un incendio presumibilmente generatosi proprio per il forno interno all’abitazione come si evince dalla ricostruzione per immagini. La struttura era formata da due ambienti: uno occupato da un forno con centinaia di semi di farro tostati (pratica necessaria per renderli commestibili) e caratterizzato dalla presenza di vasellame da mensa particolarmente raffinato, l’altro adibito a soggiorno, dispensa e luogo di lavoro, come dimostra la presenza prevalente di grandi contenitori.

La datazione ha attestato che si  tratta di vasellame da attribuire all’ultimo quarto del VIII secolo a. C.. Due di questi vasi  contenevano una patina non presente altrove  ed  è stato deciso di sottoporre ad analisi i residui in questione per individuare le sostanze presenti.

Dai risultati ottenuti pare fosse un contenitore per la conservazione dei semi di farro, poiché nell’ambiente occupato dal forno è ben documentata la pratica della tostatura. Le sostanze di origine animale sono risultate invece di più ostica individuazione. Sono stati ritrovati sia il sostegno su cui veniva posata l’olla sia l’olla stessa in cui il vino veniva “tagliato” con l’acqua o miscelato con altre sostanze (il miele o, come testimoniano le grattugie rinvenute nelle tombe etrusche e latine contemporanee, il formaggio). Nonostante non sia stato possibile attestare tracce del vino che doveva essere consumato dagli abitanti della capanna, le sostanze potrebbero avere a che fare proprio con le particolari modalità con cui esso veniva consumato nelle pratiche conviviali. In alternativa a questa spiegazione si deve tenere presente come, secondo le fonti, farro tostato, miele e formaggio fossero gli ingredienti di una sorta di polenta ben conosciuta a Roma in età arcaica, la puls punica.

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